lunedì 28 febbraio 2011

PRESENTAZIONE A TORINO

Giovedì 10 marzo alle ore 18:30, a Torino presso la libreria Belgravia (Via Vicoforte 14/D) incontro con Alessandro Bastasi, autore de "La gabbia criminale".
Introdurrà l'autore Francesca Maria Poli.


"Bastasi scrive bene, è attento ai particolari ci sono elementi che da soli racchiudono un’atmosfera" (Liberi di scrivere)
"La gabbia criminale è un nero paesano, uno spaccato di tradizioni e superstizioni, di paure e certezze, di rancori e amori da vicoli bui" (L'Insolito)
"Alberto ci porta avanti e indietro nella sua vita con repentini sbalzi temporali, passando dalla prima alla terza persona continuamente" (CorpiFreddi)
"La scrittura di Bastasi in alcuni momenti sembra che più che descrivere dipinga un quadro impressionista con tutti i suoi minimi particolari" (Giallomania)

lunedì 21 febbraio 2011

INTERVISTA DI LUCIANO SARTIRANA



L'autore come testimone critico

Luciano Sartirana intervista
ALESSANDRO BASTASI
  

http://www.edizionidelgattaccio.it/eg-ibastasi.html

Parlaci di “La gabbia criminale”, il tuo ultimo libro…
"La gabbia criminale" (Eclissi editrice) è un noir. No, è un romanzo storico di denuncia sociale. No, è un romanzo psicologico. In realtà è tutto questo mescolato in un cocktail che mi auguro sia di gradimento a un pubblico vasto, non legato a uno specifico genere.
È un noir in quanto a struttura e atmosfera: c’è un duplice omicidio commesso nel 1953, compaiono efferatezze di vario tipo, il tutto avvolto in un’atmosfera torbida in cui ciò che appare non coincide mai con quello che in realtà è.
È un romanzo di denuncia sociale perché, almeno nella mia intenzione, mette in luce gli aspetti peculiari di una comunità di piccola provincia: l’essere un microcosmo chiuso con le sue regole, le sue ipocrisie e le sue paure, le bugie, il familismo amorale, il conformismo, la falsa solidarietà che si sfalda alla prima occasione.
Ed è un romanzo psicologico perché in realtà tutta la prima parte si svolge in larga misura nella mente del protagonista, Alberto, l’io narrante: dove il tempo non esiste, il presente e il passato si confondono; dove una girandola di personaggi fa la sua comparsa, alcuni per il tempo di un respiro; dove anche la casa, quella in cui Alberto è tornato a vivere dopo tanti anni, che nella letteratura psicanalitica tipicamente rappresenta l’io, è un personaggio, con le sue ombre, i suoi odori, i suoi fantasmi.

Cosa ti ha spinto a iniziare a scrivere? 
Ho scritto fin dai vent’anni, quando componevo i miei racconti e con questi rompevo le balle all’intellighentjia della città in cui sono nato, Treviso, dove peraltro è ambientato "La gabbia criminale". A scrivere mi spingevano soprattutto le suggestioni letterarie degli autori che allora mi avevano colpito, da Pavese a Sartre, da Dos Passos ai calssici russi… Poi arriva la passione per il teatro, anni sul palcoscenico del teatro Ridotto di Venezia… e poi, nel 1976, a Milano per ragioni di lavoro, riprendo a scrivere su un quotidiano e su riviste di settore come cronista teatrale. Senza comunque smettere di scrivere racconti. Il salto alla scrittura di romanzi avviene dopo una mia esperienza in Russia, tra il 1990 e il 1994, quando elaboro il mio primo romanzo, "La fossa comune", in cui cerco di tracciare la storia che in quegli anni porta il paese dall’Unione Sovietica di Gorbachev al regime mafioso pre-capitalista di Eltzin, con particolare attenzione allo stravolgimento sociale e delle coscienze che questo ha comportato. Tutto ciò narrato attraverso le vicissitudini di un italiano ex sessantottino che si fa coinvolgere in un attentato a Eltzin. Una sorta di thriller politico-sociale-psicologico.

I temi che più ti appassionano, che ti fanno venire voglia di scriverne…
Temi sociali della storia recente, senza dubbio. Non riesco a scrivere altro, né mi interessa. Temi che possono scaturire dalle cronache di tutti i giorni. Il nuovo romanzo che ho appena finito di scrivere, ad esempio, ha come argomento di fondo il tema dell’immigrazione nella provincia veneta; il plot narrativo è ancora una volta costruito sul modello del noir, ma la finalità ultima consiste nel voler illustrare le condizioni di vita dei migranti alla luce delle recenti leggi sulla “sicurezza”. Alessandro Magherini, redattore editoriale e poeta, presentando La gabbia criminale ha detto che, fatte ovviamente le dovute proporzioni, i miei romanzi sono “manzoniani”, nel senso che la storia è uno dei protagonisti, se non “il” protagonista.

Che persone sono i tuoi protagonisti e i tuoi colpevoli? 
I miei protagonisti sono persone la cui vita è drammaticamente intrecciata al contesto in cui vivono, da cui si fanno condizionare o contro il quale danno vita a una ribellione che le rende invise alla massa conformista. I miei colpevoli sono quasi tutti appartenenti al primo tipo: è il condizionamento cui sono sottoposti, è il conformismo assunto loro malgrado a regola di vita a renderli dei criminali. Per questo li condanno, non solo e non tanto per i crimini che hanno commesso quanto perché non hanno saputo reagire alla melma che li circonda.

Quali sono le autrici e gli autori che leggi con più piacere, e/o che ti hanno aiutato a migliorare il tuo stile? 
Difficile dirlo, non saprei chi mi ha aiutato a migliorare lo stile. Sono molto legato ai classici, a partire dai poemi omerici per arrivare ai romanzi russi. Pensa che per scrivere La fossa comune ho volutamente cercato di echeggiare la struttura, il clima, lo stile dei romanzi di Dostoevskij! Con "La gabbia criminale", però, mi è stato detto che sto arrivando a uno stile più personale, più fluido, più “semplice”, che non vuol dire semplicistico. Gli autori contemporanei che amo particolarmente sono Saramago e Tabucchi, e tra gli autori di noir Massimo Carlotto e Maurizio De Giovanni.

Secondo te, che ruolo ha o – più direttamente – a cosa serve uno scrittore nella società di oggi, dove l’attenzione è distratta da molti più media e modi di passare il tempo rispetto a una volta? 
Dice Massimo Carlotto: “L’autore deve attraversare il suo tempo occupandosene”. Questo anche secondo me è il ruolo dello scrittore nella società d’oggi. Essere testimone critico, non essere mai compiacente e nemmeno limitrofo al potere. E per svolgere questa funzione usare tutti i mezzi possibili, dai social network alla televisione, se ci riesce, fino ai sit-in in piazza. Come fa Roberto Saviano, del resto. Ma non tutti siamo dei Saviano, anzi, pochissimi, quindi lo scrittore che vive il suo ruolo come testimonianza deve decidere comunque di “contaminarsi”, uscire dalle biblioteche, scoprire e soprattutto accettare nuovi strumenti, gli audio-book, gli e-book… Io sono nato alla fine della prima metà del secolo scorso, quindi sono ovviamente legato ai libri di carta, ma la fruizione del libro andrà sempre di più nella direzione del digitale.

Hai altri interessi artistici, oltre alla letteratura? 
Beh, il teatro è sempre nel mio cuore. Saltuariamente ancora oggi calco le scene, un paio d’anni fa ero il dottor Diarroichus nel "Malato immaginario", attualmente sono Il Giudice in "Virginia", un atto unico scritto da Dolores Fusetti, Giorgio Battarino e Luciano Sartirana, andato in scena il 20 novembre al teatro Santuccio di Varese, un testo che analizza i rapporti tra il giudice, l’avvocato e una ragazza arrestata per droga nella fase delle indagini preliminari.

La principale difficoltà che trovi nello scrivere…
Una volta individuato il tema attorno al quale costruire il romanzo, le difficoltà maggiori sono strutturare una trama che stia in piedi, che sia coinvolgente, che tenga avvinto il lettore, che sia in sintonia col senso che voglio esprimere, e inventare i personaggi. Tutto questo avviene di solito nella mia testa, anche per parecchi mesi, un periodo di elucubrazione che mi vede a volte bloccare l’auto con cui sto andando in autostrada per fermarmi al più vicino autogrill e prendere freneticamente degli appunti su uno snodo possibile della storia, o sulla caratterizzazione di un personaggio. Fatto questo, la scrittura vera e propria, al computer, mi viene quasi automaticamente, a volte sono i personaggi stessi a suggerirmi strada facendo situazioni, dialoghi, scarti improvvisi che non avevo previsto…

Raccontaci una normale giornata da Alessandro Bastasi…!
Dovendo purtroppo fare anche altro per vivere, la mia giornata è scissa tra il tempo che dedico all’attività che mi permette di mangiare (e di scrivere) e il tempo che dedico alla scrittura, che necessariamente è quello serale, o notturno, o dei week-end, o delle vacanze. In realtà, mentre sto pensando al “lavoro”, spesso penso anche al romanzo che sto scrivendo, verbi da usare, sostantivi da cambiare, aggettivi da eliminare, in un diluvio di post-it… A volte però mi coglie una frenesia tale da costringermi a prendermi alcune giornate da dedicare solo alla scrittura, e in quei momenti non ci sono per nessuno. Fortunatamente posso permettermelo, non avendo padroni che me lo impediscano e potendo contare invece su dei bravi collaboratori cui delegare…

La recensione di "Liberi di Scrivere"

La recensione la trovate qui
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Avete presente Peppone e Don Camillo, il sindaco comunista e il combattivo parroco di Brescello nella riduzione cinematografica, personaggi letterari creati dalla penna di Giovannino Guareschi, emblemi della Bassa Padana nell’ Italia rurale e provinciale del dopoguerra. L’Italia di Coppi e Bartali, per intenderci, altra coppia antagonista questa volta del ciclismo, quando sport, politica e società  era un tutt’uno e rispecchiavano il contrapporsi di due Italie quella comunista di ispirazione laica e quella democristiana cattolica e conservatrice. Se ci aspettiamo un idilliaco scontro culturale, fatto di stima e rispetto reciproco dobbiamo ricrederci, non fu affatto così. Alessandro Bastasi ci ricorda che democristiani e comunisti si odiavano davvero e non era vero quello che si vedeva al cinema nei film su Don Camillo e Peppone dove litigavano tanto ma poi in fondo erano solidali. Tanto che quando uscì il film un prete di Bologna di nome don Lorenzo Tedeschi si scagliò contro Guareschi scrivendo su un periodico: “L’irenismo di Don Camillo è un pernicioso equivoco… Una terribile realtà di abdicazione” e un vaticanista scrisse sulla Gazzetta del Popolo di Torino: “Gli ambienti vaticani contro l’ormai famoso romanzo di Guareschi”. Bastasi per delineare bene il clima scrive: “Alla Messa della domenica il parroco, invece che amore cristiano, predicava odio contro i comunisti scomunicati, immorali e senza Dio”. Ecco in questa Italia e per la precisione nel dicembre del 1953 ha inizio il noirla Gabbia criminale. In un borgo alla periferia di Treviso vengono rinvenuti cadavere due anziani, Saverio Dotto, ucciso con tre coltellate nella schiena e la moglie ancora in camicia da notte con una coltellata al cuore. Un delitto sanguinario che scuote il torpore di una città della Bassa in cui l’attività principale è tagliare i panni addosso, dire maldicenze, sparlare di vicini e conoscenti con morbosa cattiveria ma per vigliaccheria, quieto vivere o pigrizia veri delitti non se ne compiono. E’ una zona tranquilla, certo durante la guerra di fattacci ne sono accaduti, ma erano circostanze eccezionali, scusabili, altri tempi. Saverio Dotto proprietario di vigne e di immobili, un infame arricchito in tempo di guerra con la borsa nera, ex fascista della milizia, usuraio, capace di correre dietro ai bambini con il fucile se vedeva minacciata qualche sua proprietà, ne aveva di scheletri nell’armadio, di gente che lo odiava, come Caterina la matta che quando lo vedeva sussurrava piano: “stupratore e assassino”. Molti hanno una ragione per vederlo morto, forse tra tutti una ragione in più ce l’ ha Carlo Bettini, uno dei comunisti immorali e senza Dio, bersaglio dei preti come sopra accennato, che quando morì Stalin piansero e si misero al braccio la fascetta del lutto. Si mormora in paese che fu il Dotto a violentargli e  uccidergli la moglie nel 44 e tanto basta per servirgli da movente. Una vendetta insomma e così lo portano via, lo processano e lo condannano a vent’anni, poco importa se per il crepacuore non scontò interamente la pena morendo nel 1965, poco importa se era poco più che un capro espiatorio. Alberto Sartini, un bambino all’epoca dei fatti, dopo anni trascorsi a Brescia a fare il professore di filosofia, ormai in pensione torna nella vecchia casa dei genitori e inizia a interrogarsi su quegli antichi delitti. Fu davvero il Bettini l’assassino, o non fu altro che una scelta di comodo e il vero colpevole nascosto dall’omertà di un paese bigotto e rinchiuso nella gabbia criminale del titolo, l’ ha fatta franca e impunito ha vissuto per anni nel rispetto e nella considerazione della comunità? Sartini vuole sapere la verità e quello che scopre perché alla fine la verità la scopre, cambierà per sempre la sua vita e il suo futuro. La Gabbia criminale del noir più che del giallo classico ha molti elementi, ci sono le vittime che suscitano ben poca pietà, ci sono gli innocenti fatti passare per colpevoli, c’è chi cerca la verità ma alla fine avrebbe preferito non scoprirla, c’è un affresco sociale che rispecchia in maniera fedele il perbenismo bigotto di un’Italia di provincia che ancora vive nei piccoli borghi rurali dove tutti si conoscono, dove l’asfissiante maschera fatta di ipocrisia e falsità nasconde odi, rancori, vendette,  rivalità e tutto si fa in nome dell’apparenza, l’unica cosa da salvare in un mondo gretto e ottuso e schiavo di quel che dice la gente. Quest’ultima a mio avviso e la parte più riuscita del romanzo, capace da sola di tenere in piedi l’impalcatura su cui si regge. Se devo trovargli un limite forse la sovrapposizione dei piani temporali rende un po’ faticosa la lettura ma spinge semplicemente a fare più attenzione e ad evitare una lettura frettolosa. Bastasi scrive bene, è attento ai particolari ci sono elementi che da soli racchiudono un’atmosfera, basta citare la descrizione della cucina, una delle scene del delitto: “ il tavolo di legno con le quattro sedie, la credenza con il pane, il santino di papa Pio XII sul muro, la cucina economica con il fuoco acceso, l’acqua che bolle nella grossa pentola, la boule sul tavolo pronta per essere riempita” basta questo per descrivere l’interno di una semplice casa contadina, se ne sente la familiarità, l’intimità e si respira più agghiacciante per contrasto l’aura mefitica del delitto che si è appena commesso.

giovedì 17 febbraio 2011

PRESENTAZIONE A MONZA

Silvia Armanini, dell'associazione Scrigno Letterario (www.scrignoletterario.it) presenterà La gabbia criminale alla libreria Libri e Libri di Monza (via Italia, 22) venerdì 25 febbraio alle ore 18:30. Sarà presente l'autore.

giovedì 10 febbraio 2011

Commento di Marco Piva - KILLER MANTOVANO (in aNobii)


La gabbia che uccide

Pregevole romanzo questa seconda prova,sulla lunga distanza, del trevigiano Alessandro Bastasi.
Una storia sospesa tra passato e presente, un mistero che affonda le sue radici negli anni del dopoguerra.
E’ il dicembre del 1953 quando vengono rinvenuti in una casa di campagna di un paesino del trevigiano, i cadaveri orrendamente massacrati a coltellate di una coppia di coniugi. L’uomo, Saverio Dotto, è un possidente terriero, ex militante fascista, una persona allo stesso tempo temuta e rispettata nella comunità. Di certo la sua condotta non è irreprensibile, circolano diverse voci inquietanti in paese sulle azioni losche dell’individuo. E’ evidente che più persone possano avere avuto motivo di covare rancori o odio nei confronti della vittima. Viene subito arrestato un sospettato, appartenente alla corrente politica avversa del Dotto, ma risulta immediatamente evidente la sua natura da capro espiatorio.
Giorni nostri: Alberto Sartini ex insegnante in pensione sessantenne, all’epoca dei tragici fatti bambino vicino di casa della coppia uccisa, torna negli stessi luoghi che un tempo, da ragazzo, aveva rinnegato, forse proprio per cercare delle risposte e provare a mettere in ordine tutti i tasselli della sua vita.
“La gabbia criminale” si rivela un giallo atipico e molto sentito, arricchito da una storia d’amore tra le più dolci e tenere che la mia memoria di lettore rammenti. C’è tanta nostalgia, ricordi e umanità in questa storia corale, composta da tutti personaggi anziani, indeboliti nel fisico e provati dalle esperienze di vita passata. Bastasi ci descrive un profondo e veritiero spaccato di una società rurale ancorata alle sue tradizioni, ai suoi preconcetti e ai suoi dogmi perversi. L’apparenza prima di tutto, un sepolcro imbiancato di facciata, gli scheletri che devono rimanere celati nell’armadio, un sistema omertoso capace di generare una vera e propria gabbia criminale senza uscita.
Probabilmente dove il romanzo cade è proprio nel meccanismo più strettamente “giallo”, con una soluzione affrettata e un po’ deludente. Mi rendo conto che l’obiettivo di Bastasi era concentrato su altri aspetti, (centrati in maniera brillante), ma è pure vero che stiamo parlando di un romanzo di genere, che deve essere capace, per essere perfetto e inattaccabile sotto tutti gli aspetti, di soddisfare anche il più esigente palato del lettore scafato.
Comunque sia il mio giudizio è senz’altro positivo e seguirò con particolari interesse le prossime mosse di Alessandro (già al lavoro per l’imminente nuovo romanzo).
Consigliato senza ombra di dubbio.

venerdì 4 febbraio 2011

INCUBI

"Maria la Longa era lì, nella stanza, grande fino al soffitto, a fissarmi severa, e poi a due centimetri dalla mia faccia, nera come la peste, ad alitarmi addosso, a sibilarmi frasi che non capisco, a prendermi la testa tra le mani, a stringermela con forza fin quasi a spaccarmela, mentre i suoi occhi di fuoco mi scaricano addosso il fardello di rancore che quella casa ha in tanti anni accumulato. 
Sono stanco, ho bisogno di Valentina. Non ce la faccio più a stare qui.
Nelle orecchie continua a ronzarmi la voce di Maria la Longa, e le uniche parole che mi sembra di riconoscere sono: «Il fuoco… Tu devi…»
Che cosa devo, Dio santo, che cosa, di quale fuoco stai parlando?" (La gabbia criminale)

giovedì 3 febbraio 2011

PROSSIME PRESENTAZIONI

- Monza, 25 febbraio, Libreria Libri e Libri, via Italia, 22 - ore 18:30 

- Torino, 10 marzo, libreria Belgravia, via vicoforte 14/d - ore 18:30