giovedì 7 aprile 2011

TUTTI I COLORI DEL GIALLO (RAI-RADIO") - IL BLOG DI LUCA CROVI

http://giallo.blog.rai.it/2011/04/07/la-gabbia-criminale/



Alessandro Bastasi ci presenta il suo “La gabbia criminale” (Eclissi Editrice).
Com’è nato il romanzo?
Il romanzo è nato da un racconto che avevo scritto un po’ di anni fa, “Il muretto”, con i dialoghi in dialetto, dove rivisitavo affettuosamente i luoghi della mia infanzia, e cercavo di creare un acquarello di figure che, filtrate dal tempo, ogni tanto comparivano nella mia mente, delle quali mi chiedevo “Chissà dove sono adesso, che cosa sono, cosa stanno vivendo”?
Il rapporto con il mio territorio d’origine però col tempo e con il trionfo di quella Lega che ha in Gentilini il suo astro si è deteriorato, si è trasformato in amore-odio, e anche le figure del racconto nella mia mente si sono trasfigurate, diventando rappresentazioni emblematiche di un DNA profondo, viscerale, che dagli anni ’50 in poi, nonostante tutte le profonde trasformazioni subite, è arrivato praticamente intatto fino a oggi: quel familismo amorale, ipocrita e conformista causa prima di quel localismo chiuso in se stesso che trova nella Lega la sua epifania. E ho deciso di scrivere un noir “paesano”, in cui spicchi questo aspetto sopra ogni altro. Dove un duplice delitto compiuto nel ’53 è il pretesto per approfondire il contesto in cui questo è potuto accadere.
Perchè un titolo così emblematico?
Per i motivi che dicevo prima: la gabbia criminale è la famiglia intesa come microcosmo chiuso e fine a se stesso, “valore” assoluto al quale è possibile, anzi, doveroso sacrificare qualunque altro valore etico e sociale, per il quale ogni schifezza è giustificabile, purché, appunto, l’onore della famiglia sia salvo. E questo, come veneto d’origine e comunque legato a quella terra (anche se vivo a Milano da tanti anni) mi fa star male. Enrico Pandiani dopo aver letto il libro mi ha scritto: “Hai fatto uno spaccato impietoso delle tue parti ma si percepisce potentemente il desiderio che tutto fosse diverso.”
E’ stato facile mediare passato e presente nella narrazione?
In tutta la prima parte i piani temporali (anni ’50 e tempo presente) si sovrappongono e si confondono, perché l’io narrante, tornando a vivere nella casa in cui aveva passato i primi nove anni della sua vita, rivive immagini, figure, eventi di un’epoca lontana, e questo gli succede inaspettatamente, un odore, un suono, l’atmosfera inquietante della casa gli aprono improvvisamente una breccia nel profondo del suo io (la casa, in molta letteratura psicanalitica, rappresenta appunto l’io). In realtà tutta la prima parte del libro, in questo senso, avviene nella sua mente, dove il tempo non esiste. Con questi riferimenti, mediare tra passato e presente è stato relativamente semplice, forse all’inizio il lettore è un po’ sconcertato, ma poi si abitua subito.
Quali erano i fatti storici sui quali volevi che  si concentrasse maggiormente l’attenzione dei lettori?
Più che i fatti in se stessi, il mio intento era disegnare nel modo più efficace possibile (e il plot del noir ben si presta a questo obiettivo) un ambiente, in cui certo i fatti storici (il fascismo, i partigiani, la ricostruzione post-bellica, l’odio per i comunisti, ecc.) hanno la loro importanza, sono però visti sempre in relazione allo zoccolo duro di cui parlavo: una società che un tempo era succuba dei preti e dei padroni, dove si guardava alla propria sopravvivenza e ad accrescere se possibile il proprio benessere singolarmente, a scapito di qualunque interesse generale. Poi, certo, la storia entra nel romanzo, ma finalizzata soprattutto allo sviluppo delle vicende narrate e a far da riferimento alle motivazioni di certi comportamenti. 
Quanto è cambiata nel tempo Treviso?
Esteriormente è cambiata tantissimo, le amministrazioni degli ultimi dieci anni hanno fatto tantissimo per renderla bella, linda, pulita, anche grazie al famoso miracolo del nord-est di cui tanto si è parlato. Ma ho la netta sensazione che la sua anima profonda non sia cambiata, l’individualismo localistico e il disinteresse per un bene comune più generale, il familismo, il rifiuto del diverso non mi sembra che si siano attenuati in questi cinquant’anni, anzi! E sarà proprio “il rifiuto del diverso”, in questo caso il migrante, il tema centrale del mio prossimo romanzo, che avrà la medesima ambientazione.
Quanto trovi che il tuo sia un romanzo corale?
L’intenzione era di scrivere un romanzo molto corale, aiutato in questo dalla commistione tra passato e presente, dove molti personaggi compaiono, alcuni nel tempo di una pennellata, o di un respiro, per poi scomparire o quasi (il maestro Ferrara, le comari del borgo,…). Dal contesto spiccano, ovviamente, i personaggi chiave. Qualcuno ha scritto che “Bastasi in alcuni momenti sembra che più che scrivere dipinga un quadro impressionista con tutti i suoi minimi particolari”. La visione sociale di cui ho parlato prima, più che da una mera descrizione, dovrebbe risaltare appunto da un quadro del genere.
Quali sono i personaggi della storia ai quali ti senti maggiormente vicino?
In generale ai personaggi femminili, vere vittime di quell’ambiente. In particolare A Eva, a Caterina la matta e a Maria la Longa. A Eva perché è l’unico personaggio che si ribella al contesto conformista in cui è costretta a vivere. A Caterina perché vittima innocente della violenza nascosta e dell’ipocrisia che la circonda. A Maria la Longa perché è la “strega” della situazione, personaggio inquietante ma profondamente umano. E poi, ai giorni nostri, c’è Valentina, la figlia di Eva, protagonista di una tenera storia d’amore che dà un barlume di speranza a tutto il racconto…

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